Lacrimosa
In un angolo oscuro e dimenticato del mondo, dove persino il pallido chiarore della luna osava appena penetrare, giaceva una creatura d’ombra. Era una vampira, un’essenza eterea e fatale, con la chioma vermiglia che si fondeva nel buio come il sangue versato su un antico altare. Seduta immobile come una statua di marmo funesto, il suo sguardo era fisso su un solitario candelabro, unica fonte di calore e illusoria compagnia nella sua infinita sofferenza.

Di fronte a lei si stagliava il ricordo di ciò che aveva amato e perduto: un uomo mortale, un’anima fragile e pura che aveva osato amarla, sfidando le leggi della natura e della fede. La loro passione era stata un fuoco oscuro, nato dal desiderio e dalla disperazione, una fiamma che aveva consumato ogni speranza di redenzione. Ma ora quel cuore, che un tempo batteva al ritmo di parole dolci e promesse immortali, giaceva spento, come il mondo che la circondava.
La vampira, con mani gelide e senza vita, prese la candela e la portò al volto, come a cercare un contatto con un’umanità perduta. La cera colava lentamente sulle sue dita, una pena inflitta a sé stessa, il simulacro di un dolore umano. In quel tormento silenzioso e disperato, ella implorava ciò che sapeva essere impossibile: la misericordia divina.

Con una voce che era poco più che un sussurro, pronunciò una preghiera. Le sue labbra immortali mormorarono parole che mai avrebbero dovuto essere pronunciate da una creatura delle tenebre, parole rivolte non alla morte, ma a Dio stesso. "Perdona la sua anima, se mai è possibile. Concedigli la pace, lui che ha amato una dannata come me." Era una supplica intensa e profonda, carica di quel desiderio di salvezza che ella stessa non avrebbe mai potuto ottenere.
E mentre le parole svanivano nell’aria gelida della notte, la vampira sentiva crescere in sé un odio profondo, viscerale, per la morte che le aveva strappato il suo unico legame con la vita, e al contempo, un desiderio struggente di abbandonarsi ad essa, di essere finalmente liberata dall’eterno supplizio dell’esistenza. Ma sapeva che nessuna pace l’avrebbe mai raggiunta. Il perdono di Dio era riservato agli uomini, non a esseri come lei, maledetti e senz’anima.

Così, con il tormento che l'abitava, lasciava scorrere la cera sulla pelle, simulando il calore che il suo corpo non avrebbe mai potuto generare. Il suo volto, spettrale come la luna d’inverno, si contrasse in un silenzioso grido di atroce disperazione. E mentre il fuoco della candela si spegneva, si estingueva anche l’ultima fragile speranza che nutriva.
Nell’eternità del suo tormento, sospesa tra il desiderio di redenzione e l’odio per la morte che le era stata negata, ella continuava la sua veglia, sola, con la preghiera di un'anima disperata che sapeva non avrebbe mai trovato risposta.
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