Sangue & Oro sotto la Luna Rossa
Parlo piano perché il mare ascolta soltanto chi conosce le sue misure.
Io Sono il Capitano.
nata dal sale, cresciuta nell’ombra e vestita di notte.
Le mie mani conoscono il legno del timone e la pelle fredda delle monete:
oro che canta e morde come lingua di serpente.


Ti racconterò dunque di quella volta in cui la mia fama ha preso a camminare sulle acque e il mare ha imparato a non scherzare con il mio nome.

Presi il melograno tra le mani come si afferra un cuore estratto dal petto del mondo, consapevole che ogni nervo e ogni venatura della sua scorza ruvida parlava di segreti antichi, di cicli di vita e morte, di promesse che si intrecciano con il sangue. La polpa resisteva sotto le dita come custode di verità troppo pesanti da pronunciare a voce alta.
Il taglio fu netto, chirurgico, e nel gesto il tempo si fermò:
I semi caddero come gemme, rubini vivi che brillarono alla luce come occhi che sanno vedere la verità. Ne succhiai il succo, e il sapore mi parlò di ciò che arde senza distruggere, di amori e poteri che bruciano e insegnano, di audacia che diventa legge.
Lo offrii al Primo Ufficiale come un patto inciso nella carne e nell’eternità: ogni seme era promessa, ogni goccia di succo un giuramento che legava i nostri destini.
Non era dono, né punizione: era invito a comprendere, scelta a cui non si può sottrarre chi osa desiderare il comando.
Le sue dita, che avevano smesso di obbedire al dovere, si trovarono di fronte alla verità liquida, rossa e pulsante; chi accetta il melograno accetta il mare, il sangue, la memoria.

Non mi saziai di tutta la sua rossa linfa.
Quel sangue che restava lo raccolsi in una bottiglia di liquore, liquido prezioso che racconta la sua stoltezza, la sua brama, la sua fine mancata.
Ed il teschio del Primo Ufficiale trovò posto sul ponte, monito silenzioso e visibile.
La mia ciurma comprese senza bisogno di parole; il timone rimase saldo.
Il tradimento non fu punizione cieca, ma rito, legge incarnata, lezione eterna custodita nel sangue e nell’ombra.
Pensava che bastasse un titolo a forgiare un uomo; non comprese che il vero potere sulla mia nave è tessuto di silenzi, timore e rispetto, una stoffa invisibile cucita notte dopo notte.
Lo avvicinai con passi lenti, lo sguardo che prometteva resa, come se potessi accettare la sua pretesa di comando, cedergli la mia nave, permettergli di assaporare la mia fiducia.
E lui, cieco alla trappola dei sensi, si lasciò avvolgere dalla mia presenza.
Fu allora morsi.
Al collo.
Quel collo bramoso di baci di devozione e che si disegnò di morte.
Il suo sangue, dolce e audace come il succo del melograno, inondò le mie labbra e si riversò nei miei polsi.
La fedeltà che avrebbe per sempre dovuto darmi, era mia in eterno, suggellata dalla sua fine.

La Luna di Sangue si alzò improvvisa, senza preavviso, tingendo il cielo di un rosso antico, ferroso, come se il mondo intero trattenesse il respiro.
Quando la Terra si frappone tra Sole e Luna, l’aria diventa densa, l’oscurità diventa promessa.
E io, tra stelle e abisso, sentii la mia essenza espandersi, farsi piena e perfetta, atroce e disarmante, un richiamo che il mare stesso sembrava riconoscere.

Quando il Tesoro di Cortés bussò alle mie porte, non ebbi esitazioni.
Dicono che il suo oro sia maledetto: uomini ridotti a scheletri di desiderio, anime imprigionate in catene invisibili. Ma io sono fatta di cose che la maledizione non scalfisce: la mia pelle conosce la fredda compagnia dell’eterno.
Le monete cantavano tra le dita, piccole lamelle di riconoscimento.
Le infilai nel forziere vicino ai semi del melograno e sorrisi: sangue e oro insegnano la stessa lezione:
ciò che brilla pesa,
ciò che brucia insegna.

Sotto quella luce ogni cosa si animava: il melograno pulsava ed il tesoro scintillava come reliquia viva. Le vele respiravano, il legno del ponte gemeva sotto i miei passi, e io camminavo come chi sa di essere la regina del silenzio e del terrore insieme.
Non parlavo, eppure ogni gesto raccontava la mia storia invisibile.
Un seme caduto sul tavolo delle mappe, una moneta lasciata a dispetto sul posto del traditore, erano parole che chi osservava beveva come sangue.
Ogni dettaglio respirava la mia volontà; il vento, il mare, la notte stessa si piegavano a seguire il mio passo.
Sotto la Luna di Sangue non ero più il capitano: ero regina, giuramento e seduzione incarnata, luce e ombra fuse in un unico splendore che rapiva e intimoriva.
Chi osava guardarmi percepiva la chimica segreta del potere: parole, gesti, colori, tutto si attaccava come pece e come fuoco, e ogni anima lì presente diventava parte del mio racconto, incapace di allontanarsi dalla sua verità.


Ho imparato presto che la leggenda è il mio abito migliore, e che il timore è un velo sottile che accende desiderio.
Sentir calare il silenzio nelle taverne, vedere marinai bisbigliare, madri stringere i figli, innamorati fermi a contemplare il mare come se potesse apparire un volto sconosciuto: non è solo paura, è attrazione, irresistibile e crudele.
La paura ha il profumo dell’ignoto; l’ignoto è la più sottile delle seduzioni, ed io la indosso come un gioiello.

Non concedo pietà, non per crudeltà, ma perché il mio giuramento è equilibrio, e il ferro sulla lingua sa di casa.
Non chiedo perdono quando bevo la vermiglia notte.
Ogni battito che sottraggo diventa storia, memoria che scorre come sangue dentro le mie vene; il prezzo? Vivere nutrendomi di ricordi, morire preservandoli.
La Luna di Sangue mi benedice e sotto la sua luce io divengo pienamente me stessa:
atroce, disarmante, affamata e malinconica.



Ora che mi hai chiesto, ti ho raccontato.
E mentre parlo sento che bevi voracemente, come vampiro. Buono. Perfetto.
Le mie parole non si esauriscono qui: mordono, ritornano, lasciano vuoti che solo la prossima frase può colmare.
Ti lascio un regalo e una minaccia: un seme di melograno, rosso, tiepido, pronto a esplodere tra le dita.
Assaggiarlo significa non poter più fare a meno della mia voce.
Se quel sapore ti prende, mio caro curioso, avrai scelto di sedere alla mia tavola per sempre.
Chi sono? Sono il Capitano che intesse le storie come corde di vela, ogni parola un nodo che lega il mondo al mio mare.
Qui non esistono coincidenze: solo storie nutrite, come vento che gonfia le vele di chi osa ascoltare, forzieri che custodiscono promesse, notti rosse che tingono il cielo di giuramenti, e frutti che vincolano più di qualsiasi catena.


Ogni racconto è ferita che guarisce lentamente, cicatrice lucente sul corpo del tempo, e ogni ferita apre la strada a un’altra sete... sete di vita, di potere.
Cammino sul ponte e sento il mare chinarsi verso di me, ascoltare il mio nome, riconoscere il mio passo.
La mia storia non termina: si distilla nel sangue dei vivi, si riflette negli occhi dei morti, si insinua nei sogni di chi osa seguirla.


Sono il Capitano, e chi mi ha ascoltato sa che il mio mare è un labirinto di memorie,
e chi vi entra non ne uscirà mai più uguale a prima.
