OPHELIA
La figura di Ofelia ha ispirato numerosi artisti nel corso dei secoli. Una delle rappresentazioni più celebri è il dipinto Ofelia (1851–1852) di John Everett Millais, che ritrae la giovane donna galleggiante in un fiume, circondata da fiori, simbolo della sua morte e della sua bellezza tragica. Altri artisti, come Thomas Francis Dicksee e Jules Bastien-Lepage, hanno interpretato la scena della follia di Ofelia, evidenziando la sua fragilità e la sua innocenza perduta.
La storia di Ofelia è stata adattata in vari film e opere teatrali. Nel 2018, è stato realizzato un film intitolato Ophelia, diretto da Claire McCarthy, che offre una nuova prospettiva sulla storia di Amleto, mettendo Ofelia al centro della narrazione. In questa versione, la giovane donna non è solo una vittima passiva, ma una protagonista attiva che cerca di determinare il proprio destino.
Numerosi autori e studiosi hanno esplorato la figura di Ofelia in opere letterarie e saggi. Il libro Reviving Ophelia di Mary Pipher, ad esempio, utilizza la figura di Ofelia come metafora per esplorare le sfide e le pressioni che le giovani donne affrontano nella società moderna. Inoltre, la figura di Ofelia è stata oggetto di analisi psicologiche e critiche letterarie, evidenziando la sua complessità e il suo ruolo simbolico nell'opera di Shakespeare.

Ofelia (1851–1852) di John Everett Millais
Origini e Significato del Nome
Il personaggio di Ofelia nasce nell'opera teatrale Amleto di William Shakespeare, scritta tra il 1599 e il 1601. Il nome "Ophelia" deriva dal greco ὠφέλεια (ōphéleia), che significa "aiuto" o "beneficio".
La Storia
Ofelia è la giovane figlia di Polonio, consigliere del re Claudio, e sorella di Laerte. Vive nella corte danese, un ambiente pieno di intrighi, regole rigide e tensioni politiche. Fin dall’inizio, il suo personaggio è quello di una fanciulla dolce, sensibile e devota, ma anche fragile e vulnerabile, influenzata dall’autorità del padre e dagli eventi che si svolgono attorno a lei.
Ofelia è innamorata di Amleto, principe di Danimarca. La loro relazione, però, non può svilupparsi liberamente. Polonio, diffidente e autoritario, le ordina di allontanarsi da lui, temendo che il giovane principe non sia sincero nei suoi sentimenti. La pressione del padre la pone subito in una posizione di conflitto: da un lato l’amore per Amleto, dall’altro l’obbedienza a Polonio.
Quando Amleto scopre che suo padre, il re, è stato ucciso dallo zio Claudio che ha usurpato il trono, inizia a comportarsi in modo strano, fingendo follia. Ofelia è testimone di questo cambiamento e ne è turbata: il giovane che ama ora la respinge, la confonde, la ferisce emotivamente. La sua sofferenza cresce, perché non comprende la ragione del suo comportamento e non ha il potere di agire o difendersi.
La tragedia personale di Ofelia peggiora quando suo padre, Polonio, viene ucciso da Amleto per errore, nascosto dietro un arazzo mentre spia il principe. La perdita del padre, figura di autorità ma anche di protezione, la getta nel dolore più profondo. Non può più trovare un equilibrio tra le sue emozioni, la sua innocenza e le richieste del mondo esterno.
A questo punto, Ofelia entra in uno stato di follia manifesta. Cammina senza meta, canta canzoni enigmatiche e regala fiori ai nobili di corte, ognuno con un significato preciso. I fiori e le ghirlande diventano simboli della sua sofferenza: l’unico modo che ha per comunicare il dolore e la confusione che prova. La follia di Ofelia non è un semplice crollo mentale, ma un linguaggio poetico e simbolico, un tentativo disperato di dare voce a ciò che nessuno riesce a comprendere.
La sua fine arriva tragicamente. Un giorno, mentre raccoglie fiori vicino a un ruscello o un piccolo fiume, si lascia cadere nell’acqua. Le versioni raccontano che i rami e i fiori che aveva raccolto la intrappolano, impedendole di salvarsi. Non c’è lotta: Ofelia affonda lentamente, cantando forse ancora le sue canzoni enigmatiche, finché l’acqua non la inghiotte. La sua morte è poetica e silenziosa, sospesa tra vita e morte, e diventa il simbolo della fragilità umana e della tragedia di chi non può esprimere la propria voce.
Nei racconti e nelle analisi artistiche successive, Ofelia è spesso vista come l’icona della fragilità, della follia indotta dal dolore e dell’incomunicabilità. I fiori che regala, la sua camminata errante, il gesto di lasciarsi andare nell’acqua diventano simboli universali di perdita, vulnerabilità e bellezza tragica. La sua morte chiude la storia lasciando un senso di dolore, bellezza e malinconia, e rappresenta l’impossibilità di trovare sostegno e comprensione quando il dolore interiore rimane inascoltato.
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La NoSTRA OfeLia NoN MuoRe
Il progetto
Il nostro progetto nasce dal desiderio di riprendere la figura classica di Ofelia e trasformarla in un simbolo di forza, consapevolezza e trasformazione. Mentre nella tragedia originale di Shakespeare Ofelia soccombe al dolore e alla follia, noi abbiamo immaginato una storia alternativa: un percorso in cui il dolore non diventa oblio, ma materia di consapevolezza e creazione artistica.

C’era un tempo in cui credevo che l’acqua potesse inghiottirmi, che il dolore fosse un fiume senza fine in cui non restava altro che lasciarsi andare. Chiunque mi avesse vista allora avrebbe detto: ecco, è la sua fine.
Ma non è così. Io non muoio. Io scelgo di guardare.
Le acque mi avvolgevano, fredde e silenziose, mentre gli occhi chiusi trattenevano il peso di tutto ciò che non potevo dire.
Ogni respiro era un battito sospeso, ogni movimento un dialogo segreto con me stessa.
Lì, tra le correnti e il silenzio, iniziava il mio confronto con il dolore.

Poi ho preso uno specchio tra le mani.
Lo specchio non era solo vetro: era portale, rivelazione.
Ho visto in me ciò che prima rifiutavo: la sofferenza, la confusione, la follia.
I fiori secchi che stringevo erano memoria di chi ero, simboli del mio passato, della mia fragilità.
Nella storia di altri, quei fiori erano segnali di follia incomprensibile.
Ma io li trasformo: diventano testimoni, poesia silenziosa che parla di dolore e di resilienza.
E poi… gli occhi si aprono.

Non più schiava del dolore, non più vittima delle correnti della vita.
Apro gli occhi e scelgo di creare.
Con un pennello dipingo un fiore sulla tela.
Ogni tratto è un gesto di riconoscimento, ogni colore un passo verso la trasformazione. Non cerco più di comunicare con simboli oscuri o gesti incomprensibili: ora il mio tormento prende forma, diventa linguaggio universale, dono per chi osserva.

Chi guarda vede il dolore, ma vede anche la rinascita.
Chi sente il peso delle acque capisce che si può emergere, che il dolore può essere trasformato in arte, e l’arte può diventare luce per altri cuori smarriti.
Io sono Ophelia,
ma non muoio più. Io guardo, riconosco e trasformo.
E nel mio gesto creativo, ogni fiore dipinto è una promessa: anche dalla sofferenza più profonda può nascere la vita, e ogni caduta può essere l’inizio di un nuovo viaggio.