Silenzio Incandescente


Due anni di nebbia e solitudine interiore.
Due anni di alti e bassi, di tentativi verso la risalita e ricadute continue.
Due anni di “Ma perché non ci riesco?” e di “Perché ogni cosa mi sembra uno sforzo immane?”.
Una normalità che era solo una maschera: sotto, una malinconia vasta, muta, divorante.
Dove finiva il dolore, dove iniziava la mia pelle?
Non c’era una riva.
Poi la crepa.
La presa di coscienza.
Il riconoscimento.
L’attraversamento.
Mani ferite che hanno sempre lottato per compiere azioni di vita in una culla di morte.
Mani che alla fine si liberano dalle bende costrittive del dolore...
e possono finalmente muoversi sotto la luce del sole. Benedette.
Questo è "Silenzio Incandescente".
Un viaggio senza eroi.
Un incendio muto.
Un corpo che, pur ferito, continua a creare.
Per chi sta cadendo.
Per chi è rimasto fermo troppo a lungo.
Per chi si sente invisibile dietro un sorriso.
Non sei rotto.
Sei ancora qui.
E questo vale tutto.
❤🩹 ❤🔥


Silenzio Incandescente è un progetto fotografico autoriflessivo e viscerale, nato dall’esperienza personale di uno stato depressivo durato due anni a seguito di un lutto.
È un racconto simbolico, scandito da immagini e parole, che esplora l’attraversamento del buio interiore attraverso la materia viva del corpo.
Il set si articola in sette fasi tematiche: Dissolvenza, Dolore, Speranza, Ricaduta, Lotta, Possibilità e Trasmutazione.
Ogni fase è rappresentata visivamente da un autoritratto in cui corpo, luce, gestualità e dettagli simbolici dialogano per raccontare ciò che spesso resta invisibile.
Dissolvenza
La nebbia invade il corpo e lo spazio. I contorni si fanno sfocati, l’identità si dissolve.
È la fase in cui la percezione di sé inizia a disgregarsi, lasciando una sensazione di presenza vuota, sospesa.
Dolore
Il dolore non è solo psichico: ha un peso fisico, sordo, profondo.
In questa fase, il corpo inizia a esprimere la sofferenza: si piega, si contrae, si chiude. Le mani fasciate iniziano a comparire, segno tangibile di una ferita che si cerca di contenere.





Speranza
Una tensione verso la luce, ancora flebile, ma presente.
Un piccolo gesto - una mano che si alza, uno sguardo che cerca - è sufficiente a suggerire la possibilità di un varco.
Ma non è ancora salvezza. È solo l’inizio del desiderio.
Ricaduta
Lo spiraglio si richiude. Il buio ritorna.
In questa fase, il percorso si interrompe bruscamente: la risalita fallisce, e ci si ritrova immersi in una nuova ondata di nebbia.
La luce non cresce in modo lineare.
Come nel vissuto reale di uno stato depressivo, il movimento è discontinuo, frammentario.


Lotta
Le mani, simbolo dell’azione e della volontà, sono fasciate.
Le garze sporche di sangue rappresentano la battaglia silenziosa e solitaria di chi cerca, ogni giorno, di reagire.
Non si tratta di gesti eroici, ma di azioni minime: aprire gli occhi, compiere un passo, respirare.
Ogni foto di questa fase mostra tensione, forza, ma anche vulnerabilità.
Possibilità
Si intravede una crepa.
Non è una luce abbagliante, ma una lieve variazione nella densità del buio.
Il corpo, prima fermo, ora si inclina verso l’apertura.
Questa fase rappresenta il momento in cui si comincia ad ascoltare, più che a combattere.




Trasmutazione
Non c’è una rinascita gloriosa, ma una trasformazione silenziosa.
Le bende cadono. Le mani si liberano. Il corpo si erge, non come simbolo di vittoria, ma come prova vivente di resistenza.
Il vestito rosso, prima immerso nella nebbia e nel dolore, ora si staglia in uno spazio di luce.
Il rosso, colore della carne, del sangue, della ferita… il colore della vita, del desiderio, del fuoco.


Il vestito rosso
Rosso come il sangue, il desiderio, la rabbia, la sopravvivenza.
È un simbolo duplice: corpo esposto e vulnerabile, ma anche viva presenza.
La schiena scoperta racconta di un’apertura, un punto cieco, un luogo esposto senza difese.


La sabbia
La sabbia è un simbolo ambiguo:
è fragile, instabile, mobile.
Rappresenta il terreno su cui si muove chi attraversa la depressione:
non è solido, non è fermo, ma è ciò che c’è.
Camminare sulla sabbia è faticoso: ogni passo affonda, ogni gesto richiede più forza del necessario.
Ma è anche una superficie antica, primordiale, legata al tempo e alla memoria.
La sabbia sotto i piedi in questo set è il tempo che passa senza lasciare tracce,
la vita che si sgretola tra le dita,
ma anche la materia da cui può rinascere qualcosa.
Nel set, la sabbia restituisce la sensazione fisica della fragilità,
ma anche la possibilità di scrivere nuovi segni, di lasciare finalmente un’impronta.

Le bende
Le bende usate per avvolgere le mani, rappresentano la ferita invisibile che ogni giorno viene nascosta al mondo.
Simboleggiano anche il tentativo di contenere, proteggere, trattenere.
Quando cadono, non è perché la ferita è guarita, ma perché si è pronti a muoversi nonostante essa.
La luce
Nel set, le luci non seguono un crescendo regolare.
Proprio come nella depressione, non c’è progressione lineare: c’è invece uno spazio mentale che si contrae e si espande, senza preavviso.
La luce si fa segno di tregua, ma anche di illusione, di ritorno. È incostante, ed è proprio questa irregolarità a renderla autentica.


Tutte le fotografie sono state realizzate in autoritratto: dalla messa in scena alla post-produzione.
Ogni dettaglio, dalle bende alla luce, è stato curato per mantenere coerenza e fedeltà al vissuto emotivo.
Questo lavoro nasce dal dolore, ma parla anche di azione, di resistenza, di una fame di vivere più forte del silenzio.
Se questo progetto ha risuonato dentro di te, se anche tu conosci il peso della nebbia o il valore di un gesto che non si vede, sappi che non sei sol@.
Questa è una delle tante storie invisibili che ho scelto di rendere visibili, con il corpo, con la luce, con la pelle.
⠀
Dietro ogni scatto, ogni parola, ogni fase di questo attraversamento, ci sono notti in bianco, mani tremanti e una voce che ha imparato a non arrendersi.
⠀
Se senti che questo lavoro ti ha toccato, puoi aiutarmi a continuare.
💛 Sostenendomi su Tipeee
☕ O offrendo un caffè simbolico su Buy Me a Coffee
⠀
Ogni contributo è un piccolo fuoco che mi permette di continuare a creare progetti che parlano dove le parole mancano.