Nosferatu e la sofferenza psichica

Pubblicato il 17 gennaio 2025 alle ore 13:16

Attenzione!

L'articolo contiene immagini forti e spoiler (compreso il finale del film)


PANORAMICA SUL FILM

 

horror gotico diretto da Robert Eggers, uscito nelle sale italiane il 1º gennaio 2025.

Il film è un remake dell'omonimo capolavoro del 1922 di F.W. Murnau, a sua volta ispirato al romanzo "Dracula" di Bram Stoker.

Trama e Ambientazione

Ambientato nella Germania del XIX secolo, il film segue la storia di Thomas Hutter (interpretato da Nicholas Hoult), un agente immobiliare incaricato di recarsi in Transilvania per finalizzare la vendita di una proprietà al misterioso Conte Orlok (Bill Skarsgård). Durante il soggiorno nel castello del conte, Hutter scopre la vera natura vampirica di Orlok e la sua ossessione per sua moglie, Ellen (Lily-Rose Depp). La narrazione esplora temi di ossessione, paura e il soprannaturale, rimanendo fedele all'atmosfera gotica dell'originale.

 

Cast 

Regia e Aspetti Tecnici

Robert Eggers, noto per film come The Witch e The Lighthouse, porta la sua visione distintiva a questo remake, enfatizzando l'atmosfera gotica e l'attenzione ai dettagli storici. La fotografia di Jarin Blaschke cattura magistralmente l'oscurità e il mistero della storia, mentre la colonna sonora di Robin Carolan aggiunge profondità emotiva alle scene.

Curiosità

  • Il film ha ottenuto 4 candidature ai Critics Choice Awards ed è attualmente al 2º posto al Box Office italiano.

  • Willem Dafoe, alla sua terza collaborazione con Eggers, ha descritto l'esperienza di lavorare a questa nuova versione di "Nosferatu" come particolarmente stimolante, evidenziando l'approccio unico del regista al materiale originale.

  • Il film è stato girato principalmente ai Barrandov Studios di Praga, Repubblica Ceca, tra febbraio e maggio 2023.


Premessa

Prima di addentrarci nella mia analisi di alcuni degli elementi del film, è importante precisare che questa pellicola è un'opera d'arte, e come tale, ogni interpretazione è valida, ma nessuna è assoluta. Un’opera d’arte non è altro che uno specchio nel quale ognuno di noi può ritrovare se stesso. Che si tratti di un libro, di una foto, di un dipinto o di un film, ogni forma d'arte porta con sé una molteplicità di significati, che cambiano a seconda di chi la osserva.

Ciò che segue è il mio punto di vista, soggettivo e personale, frutto del mio vissuto e delle esperienze che mi hanno plasmato. I traumi che ho affrontato, le sfide che ho dovuto superare per non annegare, sono ciò che mi ha permesso di entrare in risonanza con questo Nosferatu. Per questo motivo, vi invito ad accogliere queste riflessioni come una visione intima e non universale, che cerca solo di tracciare un filo che mi ha unito alla forza evocativa di questa straordinaria opera cinematografica.

La motivazione per cui condivido questa analisi è che desidero stimolare una riflessione su temi profondi e complessi. È il mio modo di cercare di svegliare le menti, di spingere alla consapevolezza, e di contribuire, nel mio piccolo, a costruire un futuro migliore, più consapevole e più attento alla profondità dell'esperienza umana.


"Lui ha

La Mia

MaLincoNia"

Queste parole di Ellen Hutter, riferendosi al Conte Orlok, sono una confessione densa di significato ed il punto di partenza per comprendere la complessità emotiva di "Nosferatu". La malinconia è un tema ricorrente nel film, una presenza costante e ineludibile.

Iniziamo allora il nostro viaggio proprio da questa parola: malinconia.

Dal greco μελαγχολία (melankholía), composta da μέλας (mélas, nero) e χολή (kholḗ, bile), la malinconia, nella teoria umorale di Ippocrate, era considerata il risultato di un eccesso di bile nera nel corpo, capace di generare uno stato d’animo cupo, riflessivo, quasi inesorabile.

Ma cos’è la malinconia?

Non è forse una nota dissonante che si ripete? Una vibrazione costante e lenta, come un tasto nero di pianoforte che risuona sempre al momento sbagliato, quando si è più sereni, più felici.

È il ricordo doloroso che riaffiora, la goccia che scava la roccia dell’anima.

La malinconia è il respiro di una Yuki-onna, che nel tepore di una vita normale getta una folata di vento gelido sul cuore.

Non ha una forma definita, diventa parte di chi lo prova, un’ombra che non si può lasciare andare. Immaginiamo una giovane donna, bella e innocente, che attraversa la vita portando tra le braccia un cadavere: lo ama, lo protegge, perché quella presenza è nata in lei, da lei, e non può essere separata dalla sua stessa esistenza.

La caratteristica della malinconia, è l’essere un’eco senza un’origine apparente, un dolore che diventa identità. Una persona malinconica, agli occhi degli altri e di sé stessa, è semplicemente tale: un po’ gotica, strana, con lo sguardo perso.

Nessuno si chiede da dove arrivi quell’eco, eppure dev’esserci stata una scintilla, qualcuno che ha suonato quel tasto nero, qualcuno che ha piantato il seme della morte nel ventre di quella giovane donna, condannandola.

La storia di Ellen: il seme del dolore

Nel film, il professor Albin Eberhart Von Franz, figura visionaria e simbolica, chiede ad Ellen di raccontargli i suoi vissuti, di scavare fino all’infanzia. Lei rivela un passato segnato da profondo isolamento: i suoi genitori, spaventati dai suoi attacchi, la rifiutavano, la tenevano a distanza. Ellen era sola, incapace di trovare conforto in chi avrebbe dovuto amarla.

 

Più tardi, in una scena carica di dolore, Ellen confessa al marito Thomas Hutter l’origine del suo tormento:

Ellen: «Cercavo compagnia, cercavo tenerezza e così ho chiamato. All’inizio era dolce, non avevo mai provato tanta beatitudine, finché diventò una tortura, mi avrebbe uccisa (Nosferatu). Ma Thomas, sei tu che mi hai dato il coraggio di liberarmi dalla mia vergogna. Lui è la mia vergogna, lui è la mia malinconia, mi prese come sua amante allora, e adesso è venuto qui.»

 

Di cosa parla Ellen? Del primo incontro con Nosferatu, mostrato in modo magistrale all’inizio del film.

 

Il suo triste racconto al professor Von Franz, rivela dettagli strazianti: un giorno suo padre la trovò nuda, a terra, con i vestiti strappati, e, di fronte a quella scena, lui urlò “scandalo!” e la cacciò di casa. Ellen era una ragazzina, sensibile, innocente, che soffriva di profonde crisi dissociative, una ragazzina che invece di trovare sostegno, si trovò sola con il suo turbamento.

 

"Cercavo compagnia, cercavo tenerezza e così ho chiamato"

 

Alla sua richiesta di aiuto rispose Nosferatu, il demone che la prese come sua preda, risvegliandosi dal buio eterno:

Nosferatu: «Tu mi hai svegliato dall’eterna oscurità. Tu, non sei fatta per i vivi. Tu non sei fatta per gli umani.»

Nosferatu rappresenta colui che ha abusato di Ellen quando, giovane e vulnerabile, cercava un po’ d’amore, una carezza che le era dovuta.

L’orrore del suo gesto non si limita all’atto fisico: il vampiro diventa simbolo del trauma e della malattia che quell’atto ha generato. È la violenza che ha lacerato il corpo di Ellen, ma anche l’ombra che si è insinuata nella sua mente e nel suo spirito.

È qui che nasce la malinconia: il tasto nero premuto da mani fredde, la generazione della morte nel ventre di una creatura inconsapevole che avrebbe fatto qualsiasi cosa per un po’ di considerazione.

 

Una ferita sociale e personale

Così emerge il potente tema della violenza sessuale.

Un argomento che il film affronta con una profondità disarmante, portando lo spettatore a riflettere su una ferita generalizzata, di una società straziata ed urlante, che pochi sono disposti ad ascoltare. Questa violenza è un sintomo, l’espressione di un dolore radicato in noi tutti, un segno di quanto sia complessa la rete di sofferenze che avvolge le relazioni umane.

"IO SONO SPORCA"

 

Prima di procedere, vorrei soffermarmi un momento su un altro termine di estrema importanza che Ellen associa a Nosferatu, ovvero "VERGOGNA".

Lei afferma, come abbiamo visto prima, "lui è la mia vergogna", e quando Thomas cerca di far sentire al sicuro Ellen, lei dice: «Stai lontano da me, io sono sporca.»

 

La Treccani definisce la vergogna come:

Sentimento più o meno profondo di turbamento e di disagio suscitato dalla coscienza o dal timore della riprovazione e della condanna (morale o sociale) di altri per un’azione, un comportamento o una situazione, che siano o possano essere oggetto di un giudizio sfavorevole, di disprezzo o di discredito.

 

Questa definizione è illuminante, ma voglio approfondire ulteriormente il significato della vergogna attraverso un confronto letterario. Vorrei richiamare alla memoria il romanzo "La lettera scarlatta"  di Nathaniel Hawthorne, dove la famosa "A" rossa che Hester Prynne è costretta a indossare rappresenta un esempio tangibile di vergogna trasformata in un simbolo visibile.

La società, con il suo giudizio implacabile, stigmatizza Hester attraverso quel marchio, rendendo impossibile per lei sfuggire alla condanna pubblica. Non può vivere una vita normale; la "A" diventa la sua identità.

Allo stesso modo, per Ellen, la vergogna è una firma indelebile della sua malinconia.

Non è solo un sentimento transitorio, ma una condizione esistenziale.

È un marchio a fuoco, un segno che sembra gridare: "Io sono colpevole, io ho perso la mia purezza, io sono un essere immondo. Sono caduta tra le braccia di Nosferatu e ora sono persa per sempre. è un demone pestilenziale ed entrando in contatto con lui ora sono schifosa allo stesso modo. Nosferatu è l'unico che mi ha dato considerazione, e quindi merito soltanto quel tipo di attenzioni. I miei genitori mi hanno rifiutata, non mi hanno amata, perché sono un rifiuto. E merito soltanto di essere trattata come tale. Me lo merito" .

Ellen si percepisce come indegna d'amore, convinta che l'amore appartenga solo ai buoni, a chi è puro, mentre lei è irrimediabilmente corrotta.

 

Ellen incarna l’identificazione con il trauma.

La vergogna è una prigione mentale che trasforma la vittima in complice del proprio tormento, impedendole di vedere oltre la propria sofferenza.

 

"SCANDALO!" aveva urlato il padre di Ellen quando l’aveva trovata nuda, con i vestiti strappati, dopo l’incontro con Nosferatu.

Quelle parole, pronunciate in un momento di rabbia e disprezzo, sono state il chiodo che ha fissato per sempre il peso della vergogna nella psiche di Ellen. Il padre non è stato solo spettatore, ma il primo carnefice: è lui che ha impresso sulla pelle di sua figlia il marchio della vergogna, rendendolo parte della sua identità.

L'aspetto ambivalente della figura del Conte (carnefice e malattia, origine e condanna) emerge in modo straordinario dal dialogo tra Ellen e il Conte, che rappresenta uno dei momenti più intensi e rivelatori del film. La conversazione non è soltanto uno scambio di parole, ma un vero e proprio confronto tra il dolore di Ellen e la natura predatoria di Nosferatu, tra vittima e tormentatore, tra Ellen e sé stessa.


Ellen: <<Ti ho sentito strisciare nel mio corpo come un serpente>>

Nosferatu: <<Non ero io però, quella era la tua natura>>

Ellen: <<No, io amo Thomas>>

Nosferatu: <<L'amore è inferiore a te, te l'ho detto, tu non sei parte dell'umano genere>>

Ellen: <<Sei un villano a parlare così>>

Nosferatu: <<Io sono un appetito, niente di più. Nel corso dei secoli giacevo come bestia disgustosa nel fondo di una fossa buia. Sei venuta a svegliarmi incantatrice e mi hai fatto uscire dalla tomba. Tu sei il mio tormento>>

Ellen: <<Non mi interessa niente dei tuoi tormenti>>

Nosferatu: <<Tuttavia siamo destinati l'uno all'altra>>

Quando Nosferatu rivela ad Ellen che il marito l’ha venduta a lui -Il Conte fa firmare dei documenti a Thomas con un raggiro- il legame tra il vampiro e la donna si carica di una nuova complessità.

Ellen, confusa e sconvolta, rifiuta di credere alle sue parole definendolo ingannatore.

 

Nosferatu: <<Sei tu che inganni te stessa>>

Ellen: <<Ero una bambina innocente allora>>

Nosferatu: <<Davvero credevi che non sarei tornato? Credevi che non l'avrei fatto? La tua passione è legata a me>>

Ellen: <<Tu non puoi amare>>

Nosferatu: <<Io non posso, né tuttavia posso essere sazio senza di te. Hai memoria di come eravamo? Prova a pensarci. Ne hai memoria?>>

Ellen: <<Io ti aborro mostro>>

Nosferatu: <<Sei falsa! Così vuoi che ti mostri la mia inimicizia anch'io! Concederò a te tre notti. Stanotte era la prima. Stanotte hai scelto di negarti e in tal modo dai a me il permesso di far svanire le vite di coloro che ami!>>

Ellen: <<Io mi sono negata, tu godi della mia tortura>>

Nosferatu: <<Verrà la terza notte e dovrai sottometterti, o colui che chiami tuo marito, vedrai perire per mia mano>>

Ellen: <<No>>

Nosferatu: <<Finché non mi ordinerei di venire, dovrai vedere il tuo mondo dissolversi nel nulla>>


Procediamo analizzandolo per gradi

 

1) Il serpente: desiderio e malattia

Ellen: «Ti ho sentito strisciare nel mio corpo come un serpente.»
Nosferatu: «Non ero io, però, quella era la tua natura.»

 

Questa frase introduce la potente simbologia del serpente, un animale carico di significati complessi. Nella tradizione culturale e religiosa, il serpente è spesso associato a due concetti principali: la tentazione e il pericolo.

Pensiamo, ad esempio, alla figura di Lucifero, che nella Genesi si manifesta come serpente per indurre Eva al peccato. Allo stesso modo, il serpente viene collegato al desiderio sessuale, alla corruzione e, non di rado, alla vergogna. Questo è il primo livello simbolico evocato da Ellen: il serpente è il desiderio sessuale che si insinua nel suo corpo, un desiderio che, nell’epoca in cui è ambientato il film, era ritenuto inaccettabile per una donna. Solo provare un impulso sessuale poteva scatenare un senso di colpa e vergogna profondi.

Ma il serpente non è solo simbolo di desiderio: esso incarna anche la malattia.

Le persone che soffrono di disagio psichico descrivono spesso il proprio dolore come qualcosa che "striscia" nel corpo, un’ombra che si insinua dal basso, partendo dalle viscere o dallo stomaco, e che risale lungo la schiena. Questo dolore è viscerale, profondo, e si muove come un serpente che si annida nell’oscurità.

Il serpente rappresenta quindi sia il desiderio proibito sia il disagio psichico, due dimensioni che si intrecciano nel tormento interiore di Ellen. Quando Nosferatu risponde: «Non ero io, però, quella era la tua natura», sembra distaccarsi dall’identificazione con il serpente, attribuendolo esclusivamente a Ellen. Tuttavia, questa affermazione è contraddetta più avanti nel dialogo:

Nosferatu: «Nel corso dei secoli giacevo come bestia disgustosa nel fondo di una fossa buia. Sei venuta a svegliarmi, incantatrice, e mi hai fatto uscire dalla tomba.»

Qui il Conte si identifica chiaramente con il serpente, definendosi una "bestia disgustosa" che Ellen ha risvegliato. Questo passaggio è cruciale: il serpente diventa un simbolo condiviso, che collega Ellen e Nosferatu in un legame tossico e inscindibile. Ellen, attraverso il suo dolore e la sua ombra interiore, ha attirato a sé la "bestia" che giaceva dormiente. Questo dialogo suggerisce che le nostre ferite e i nostri traumi possano risuonare con le ombre altrui, attirando nella nostra vita quelle figure o situazioni che, pur dolorose, ci costringono a confrontarci con noi stessi per evolvere.

Come sottolinea il professor Albin Eberhart Von Franz verso la fine del film nel dialogo con la protagonista:


Ellen: «La sua attrazione per me è così potente, così terribile. Il mio spirito non può essere malvagio come il suo.»

Professore: «Dobbiamo conoscere il male per essere capaci di distruggerlo. Lo dobbiamo scoprire dentro di noi, e quando lo abbiamo fatto, dobbiamo crocifiggere il male dentro di noi o non ci sarà mai salvezza.»

 

Nosferatu (carnefice e trauma) un serpente risvegliato dalla profondità dell’anima di Ellen, costringendola a confrontarsi con le sue paure più oscure e il suo desiderio represso.

2) L'alienazione: seduzione fatale

Nosferatu: «Non ero io, però, quella era la tua natura.»
Ellen: «No, io amo Thomas.»
Nosferatu: «L'amore è inferiore a te, te l'ho detto, tu non sei parte dell'umano genere.»

 

Questa parte del dialogo sposta l’attenzione dall’aspetto simbolico del serpente all’alienazione e al potere seduttivo del trauma. Quando Nosferatu dice a Ellen «l’amore è inferiore a te», riprende un tema centrale, da lui già accennato nel loro primo incontro: «Tu non sei fatta per i vivi. Tu non sei fatta per gli umani».

Queste parole incarnano l’essenza dell’alienazione. Ellen viene spinta a distaccarsi dalla propria natura umana, a considerarsi diversa, speciale in modo inquietante, quasi superiore. Ma questa superiorità non è un privilegio: è una prigione.

Il trauma agisce come un burattinaio, trasformando chi ne è vittima in una marionetta. Come Nosferatu, esso sussurra che non si appartiene alla propria e reale umana natura, che la verità è un'altra, che la propria e reale natura è qualcos'altro, che non si è degni dell’amore perché si è superiori, che l’unica strada è abbracciare la propria oscurità.

Questo tema è brillantemente descritto quando Ellen confidandosi all'amica Anna, chiede: «Ti succede mai a volte di sentirti come se non fossi una persona? Non ti senti veramente presente, che non sei viva, sei una nottambula che dipende dal capriccio di un altro. Qualcuno, qualcosa ha il potere di soffiare la vita dentro di te, di farti muovere».

Questa frase di Ellen è una rivelazione del suo stato psicologico: si sente priva di controllo, intrappolata in un’esistenza guidata da forze esterne. Qui viene evocata una dinamica psicologica devastante: la seduzione del trauma.

Questo senso di unicità alienante, allontana la persona dalla sua vera identità, la separa dagli altri e da sé stessa, dalla percezione della realtà, del proprio corpo.

Il trauma si nutre della persona e la persona del trauma, in un rapporto simbiotico di autodistruzione.

 

Ellen: <<Tu non puoi amare>>

Nosferatu: <<Io non posso, né tuttavia posso essere sazio senza di te>>

 

Questo processo porta alla perdita della percezione del sé, trasformando la vittima in un’ombra, una bambola, un feticcio.

Ellen non è più padrona della sua volontà; il suo dolore è diventato la sua identità.

La lotta di Ellen con Nosferatu, quindi, non è solo un confronto con il vampiro, ma un dialogo con la parte più oscura di sé stessa. La malattia e il trauma si presentano come seduttori fatali, promettendo forza e unicità, ma conducendo all’alienazione e alla perdita della propria umanità.

3) Il Vuoto del Trauma

Nosferatu: «Io sono un appetito»

 

Appetito: [dal lat. appetitus -us, derivato di appetĕre, «aspirare a»]. – Tendenza a soddisfare le proprie necessità o i proprî bisogni.

(Treccani)

 

La frase «Io sono un appetito» racchiude un’idea dirompente: il trauma genera un bisogno incessante, un desiderio che divora tutto ciò che incontra. Questo appetito non è un semplice istinto fisico, ma una fame psichica che nasce dal vuoto lasciato dal dolore.

È una pulsione che domina, guidando ogni scelta, emozione e azione.

L’appetito rappresenta l’essenza del trauma che, una volta radicato, si trasforma in un impulso che cerca incessantemente di colmare la perdita di controllo e di senso.

Non è solo un bisogno di guarigione, ma un meccanismo di sopravvivenza distorto, una spinta che porta a inseguire qualcosa di irraggiungibile, come una sete che non può essere placata.

Nosferatu, quando si definisce un appetito, rivela una verità universale sul funzionamento del trauma: esso diventa una forza viva, un’entità che reclama spazio e controllo.

Questo appetito si manifesta in modi distruttivi, come relazioni tossiche, comportamenti compulsivi, dipendenze da sostanze, disturbi alimentari ed altro ancora, dove il tentativo di riempire il vuoto finisce per alimentarlo ulteriormente.

Nosferatu: «Tu sei venuta a svegliarmi.»

Con questa frase, Nosferatu sottolinea il paradosso del trauma: esso non agisce solo come una forza passiva che consuma, ma si nutre delle stesse dinamiche che lo hanno generato. L’appetito è risvegliato dalla vittima stessa, dalla sua vulnerabilità, dai tentativi di trovare conforto in ciò che conosce, anche se ciò che conosce è il dolore.

La fame che Nosferatu rappresenta è una pulsione che non accetta compromessi.

È il bisogno di controllo assoluto, di colmare un vuoto esistenziale con qualunque cosa, senza mai trovare appagamento.

«Io sono un appetito» non è solo una descrizione della natura del mostro, ma una metafora della lotta interna tra il vuoto e il desiderio di pienezza, tra l’autodistruzione e la possibilità di rinascita. È una dichiarazione sulla forza primitiva del trauma e sulla complessità della mente umana, che si confronta continuamente con il bisogno di trovare senso in ciò che sembra impossibile da accettare.

4) La Paura dell'Abbandono, e l'Anestetizzazione

Nosferatu: «Davvero credevi che non sarei tornato? Credevi che non l'avrei fatto? La tua passione è legata a me»

 

All’inizio del film, Ellen, parlando con suo marito Thomas, dice con nostalgia: «La luna di miele è durata troppo poco.» Questa frase, che potrebbe sembrare un semplice rimpianto, nasconde una profondità emotiva che svela la fragilità della protagonista.

Ellen non teme solo la fine del trasporto iniziale, ma il ritorno di una solitudine che conosce intimamente, una ferita aperta che si è originata molto prima dell’inizio della sua relazione.

Quando Thomas le comunica che deve partire per lavoro, Ellen entra in crisi e tenta di trattenerlo disperata, ma lui, inconsapevole della lotta interiore che la sua assenza innescherà, la lascia sola. Quella partenza non è semplicemente fisica: è il riemergere di un copione doloroso.

Rimasta sola, Ellen sente le voci del passato, le sue paure e insicurezze, che diventano l’eco del trauma mai guarito.

La fase iniziale di una relazione, spesso definita “luna di miele,” rappresenta un momento di sospensione, in cui l’amore è idealizzato e privo di ombre. Per Ellen, però, la fine di questo periodo non è solo l’ingresso nella realtà: è la riapertura di una ferita.

Il vuoto lasciato dalla partenza di Thomas diventa un portale, attraverso il quale si manifesta Nosferatu, l’ombra del suo dolore più profondo.

Quando il vampiro afferma: «La tua passione è legata a me», rende inevitabile, a noi, osservare attentamente l'origine di tale termine:

Passióne: [dal lat. passio -onis, derivato di pati, «patire, soffrire»].
Pàthos: [dal gr. πάϑος, «sofferenza»].

Non siamo abituati ad associare la parola passione alla sofferenza, ma è esattamente questo il suo significato originario. La "Passione di Cristo" è forse l’esempio più emblematico: un’esperienza di amore che si esprime attraverso il dolore estremo.

Dunque, Ellen, soltanto affrontando il proprio dolore può guarire e liberarsi di tutto quel tormento.

Ma, prima che entri in gioco il professor Albin Eberhart Von Franz, Ellen viene affidata alle cure del dottor Wilhelm Sievers (Ralph Ineson) che invece di prestare orecchio ai "deliri" della povera Ellen, sceglie di sedarla.

La sedazione imposta a Ellen nel film diventa il simbolo di un approccio superficiale e riduttivo al dolore umano.

Invece di affrontare la causa profonda del suo malessere, si sceglie di rimuovere il sintomo, di mettere a tacere il suo grido interiore, senza fare i conti con la ferita che lo ha generato. Questo atteggiamento riflette una logica che pervade parte del sistema medico e psicoterapeutico, dove spesso si tenta di "sistemare" ciò che è visibile, ciò che appare, senza mai scavare sotto la superficie per cercare le radici del problema.

Affrontare il sintomo senza considerarne la causa è come curare una piaga superficiale senza mai disinfettare la ferita sottostante. Per quanto possa alleviare temporaneamente il dolore, non porta mai alla guarigione completa. La vera guarigione avviene solo quando ci si immerge nella profondità della sofferenza, riconoscendola, accogliendola e cercando di comprenderne la radice. Solo affrontando la causa originaria del trauma, si dà la possibilità alla persona di ritrovare un senso di integrità e di ricostruire un’identità che non sia frammentata o appesantita dal peso di un dolore non elaborato.

Il sintomo non è il problema da affrontare, ma è la spia che guida verso il problema.

Thomas ed Ellen: l'altra faccia del legame tossico

 

Thomas, dal canto suo, incarna la figura del salvatore. È disposto a tutto per Ellen: resta al suo fianco, cerca di comprendere il suo dolore, ed addirittura asseconda i suoi comportamenti più strani. Tuttavia, questa dedizione lo consuma. È vittima di quella che potremmo definire “sindrome della crocerossina”: l’illusione di poter salvare chi ama, senza rendersi conto che il suo sacrificio lo sta distruggendo.

Ma cosa spinge Thomas a scegliere di legarsi a una persona come Ellen, tormentata dalle sue ombre? Forse, anche in lui c’è un’eco di quella stessa oscurità. Come suggerisce il professor Albin Eberhart Von Franz:
«Spesso gli spiriti demoniaci ossessionano chi è già dominato dalle più basse funzioni animali; ai demoni piacciono, vanno a caccia di loro.»

In questo senso, il buio di Ellen trova una risonanza nel buio di Thomas. È come se una parte nascosta di lui fosse attratta da quella sofferenza, da quel vuoto che Ellen rappresenta. La loro relazione diventa quindi una danza pericolosa, in cui le rispettive ferite si intrecciano e si alimentano a vicenda.

Ellen, affamata d’amore, si aggrappa a Thomas come farebbe un vampiro. Lo prosciuga emotivamente, consumandolo con il suo bisogno incessante di essere vista, amata e salvata.

Nel film, questo rapporto viene reso magistralmente dai dettagli: i movimenti famelici di Ellen verso il marito ricordano quelli di Nosferatu, sottolineando come il trauma agisca non solo come una presenza simbolica, ma anche attraverso di lei.

Thomas desidera uccidere Nosferatu, liberare Ellen dal suo dolore. Ma non comprende che il vampiro non è solo una figura esterna: è il riflesso delle ombre che Ellen porta dentro di sé, e forse anche di quelle che lui stesso teme di affrontare. Finché lei non affronta il suo trauma, Nosferatu continuerà a esercitare il suo potere, consumando non solo Ellen, ma anche Thomas e il loro amore.

Perché gli attacchi arrivano di notte?

 

Friedrich Harding (Aaron Taylor-Johnson) afferma: «Gli attacchi isterici arrivano al calar della notte puntuali come un orologio.»

Questa frase suggerisce un’osservazione pratica legata alla narrazione: Nosferatu, il vampiro, si sveglia di notte, ed è in quel momento che il suo potere si manifesta, amplificando il tormento di Ellen.

Tuttavia, la notte ha un significato più profondo, un potere simbolico che va oltre la presenza del vampiro.

La notte, nel suo silenzio e nella sua oscurità, diventa il momento in cui i pensieri trovano spazio per emergere.

È un terreno fertile per l’inconscio, il luogo in cui le difese costruite durante il giorno crollano e i dolori nascosti risalgono in superficie.

Quando si spengono le luci esterne, le ombre interiori diventano più evidenti.

Arisa, con la sua stupenda canzone "La Notte", cattura magistralmente questa dinamica:

Non basta un raggio di sole in un cielo blu come il mare
perché mi porto un dolore che sale, che sale...
Si ferma sulle ginocchia che tremano, e so perché...

 

E non arresta la corsa, lui non si vuole fermare,
perché è un dolore che sale, che sale e fa male...
Ora è allo stomaco, fegato, vomito, fingo ma c’è.

 

E quando arriva la notte
e resto sola con me,


la testa parte e va in giro
in cerca dei suoi perché.

Queste parole raccontano l’essenza del tormento notturno: un dolore che sale e si amplifica, un vuoto che diventa quasi tangibile. La notte, nel suo isolamento, costringe a confrontarsi con i propri demoni. È qui che le ferite, come quelle di Ellen, trovano il loro spazio per urlare, per chiedere attenzione, per ricordare che sono ancora lì.

Il rifiuto di sé e la fusione finale con il trauma

In molti dialoghi del film emerge un aspetto fondamentale del trauma: il rifiuto di sé stessi, in particolare il rifiuto verso quella parte che, nell’ottica distorta della vittima, “si è lasciata violare.” Questo concetto è espresso nelle parole che Ellen rivolge alla sua amica Anna Harding (Emma Corrin):
Ellen: «Perdonami, tutto quello che dico sembra così puerile.»

In questa frase emerge il disprezzo che Ellen prova per sé stessa, un disprezzo che nasce dal tentativo di minimizzare il proprio dolore, come se non fosse legittimo.

Ma c’è di più: Ellen ha interiorizzato il comportamento che gli adulti hanno avuto nei suoi confronti quando era bambina. La sua infanzia non è stata accettata, il suo essere fragile e bisognosa di attenzione è stato ignorato o addirittura deriso.

Quando era piccola, la sua vulnerabilità, i suoi bisogni emotivi e persino le sue crisi sono stati trattati con rifiuto o riprovazione. Ellen ha imparato, attraverso quegli sguardi e quelle parole di disapprovazione, che esprimere il proprio dolore era "sbagliato", "esagerato", qualcosa di "puerile" e, come tale, di nessuna importanza.

Da adulta, questa convinzione si è radicata al punto da farle colpevolizzare quella bambina ferita che ancora vive dentro di lei.

Ellen non riesce a riconciliarsi con quella parte di sé che è stata respinta.

La accusa, inconsciamente, perché vede in quella bambina la causa di tutto: è stata lei, con il suo bisogno di amore e conforto, a risvegliare Nosferatu. È come se Ellen dicesse a sé stessa: «Se non fossi stata così fragile, così bisognosa, così puerile, nulla di tutto questo sarebbe accaduto».

Questa dinamica è il risultato di un dialogo interno tossico, tipico di chi ha subito un trauma. La sua fragilità infantile, che avrebbe meritato accoglienza e protezione, è diventata invece il bersaglio della sua rabbia e del suo dolore.

Questo si riflette anche nelle accuse che Ellen rivolge al marito:
Ellen: «Lui (Nosferatu) mi ha parlato di te, mi ha detto di quanto tu eri sciocco, pieno di paura, eri come un bambino, e ti sei afflosciato tra le sue braccia come una donnetta svenevole. Mi ha detto come mi hai venduta a lui per l’oro. Il nostro amore doveva essere sacro!»

Qui Ellen non sta realmente accusando Thomas, ma sta proiettando su di lui le colpe che inconsciamente attribuisce a sé stessa. L’amore “sacro” che lei immaginava è ora corrotto, contaminato dal “marciume” che sente dentro di sé.

Ellen idealizza Thomas come simbolo di purezza e salvezza, ma allo stesso tempo lo incolpa per non essere stato abbastanza forte da proteggerla (da se stessa).

Quando Ellen parla con Anna, il tema della purezza emerge con forza:
Anna: «Le tue parole sgorgano da un cuore puro.»
Ellen: «Il mio cuore è perduto senza il mio Thomas.»

Per Ellen, Thomas rappresenta l’unico legame con la purezza, un legame che lei sente di aver spezzato. Si percepisce ormai irrimediabilmente corrotta, un peso per chiunque la circondi.

È la lotta eterna tra ciò che crede di essere – una creatura macchiata e indegna – e ciò che desidera essere: qualcuno degno di amore e redenzione.

La fusione finale con il trauma


Nel climax del film, Nosferatu pronuncia le sue parole più inquietanti:
Nosferatu: «Presto non sarò più l’ombra su di te. Presto le nostre carni si abbracceranno e saremo un tutt’uno.»

Questa fusione totale con il trauma simboleggia la resa definitiva.

Ellen, ormai priva di speranza, smette di lottare contro il dolore che la consuma.

Si lascia fagocitare, permettendo al demone interiore di prendere il sopravvento definitivamente.

 

Ellen non vede più una via d’uscita. Si percepisce come una presenza tossica, capace solo di infettare e distruggere ciò che tocca. La peste che accompagna Nosferatu è il simbolo del suo senso di colpa e della convinzione di essere un male per chiunque le sia vicino.

Alla fine, Ellen abbraccia quella malinconia, si lascia trasportare dal soffio ammaliante della Yuki-onna, e muore in silenzio, sola, in un’unione tragica con il suo demone.

 

Il suicidio diventa l’ultimo abbraccio, un amplesso fatale con il trauma che l’ha definita.

Con un incasso di oltre 135 milioni di dollari, Nosferatu di Robert Eggers dimostra che un cinema d’autore può ancora emergere in un mercato dominato da produzioni superficiali. Questo remake restituisce al genere horror gotico la sua dignità, allontanandosi dalla figura romantica del vampiro e riportandolo alla sua essenza: una creatura di puro male, come magistralmente interpretato da Bill Skarsgård.

 

La bellezza del film non sta solo nella sua narrazione, ma nella sua capacità di esplorare i conflitti interiori più viscerali e scomodi. Ogni dettaglio – dalla fotografia, alla scenografia, ai costumi – contribuisce a creare un’opera che non solo omaggia il classico, ma lo rende attuale, unendo tradizione e modernità in modo impeccabile. In una delle scene più intense, vedere il Conte raffigurato con un'apparenza che richiama perfettamente le rappresentazioni storiche di Vlad Tepes, giunte fino a noi, è stato un momento di pura bellezza e autenticità. Il legame con il mito di Dracula si fa palpabile, e la trasposizione storica aggiunge una dimensione inquietante al personaggio.

 

Nosferatu (2024) non è solo un film, ma una riflessione profonda sulla natura umana, un viaggio oscuro attraverso le nostre paure più profonde, che ci costringe a guardare dentro di noi e a confrontarci con ciò che temiamo di più.

"Nosferatu" non offre risposte semplici.

Ci conduce al margine delle nostre ombre, ci costringe a guardarle senza pietà.

E lì, nel buio, ci lascia con una domanda che non è solo di Ellen, ma anche nostra:

 

«Il Male Nasce Dentro di Noi o Viene dall’Aldilà?»

 

Il male, quello che ci consuma, è davvero qualcosa che proviene dall’esterno?

È un’entità che ci invade, che si insinua nella nostra vita, o è una forza che germoglia da dentro, alimentata dalle ferite che scegliamo di ignorare?

È un demone che ci cerca o siamo noi, inconsciamente, a richiamarlo con i nostri desideri più oscuri e inconfessati?

 

La risposta, forse, non è unica, né definitiva. Ci costringe a riflettere, a interrogarci su ciò che significa affrontare le nostre ombre. Guardare Nosferatu non è solo un viaggio nell’orrore, ma un’esperienza che ci invita a esplorare il confine tra ciò che siamo e ciò che temiamo di diventare.

La creazione di questi contenuti non è solo un lavoro, ma un vero e proprio viaggio che richiede tempo, ricerca e un forte investimento emotivo.

Trattare temi che mi hanno toccata in prima persona significa immergermi profondamente in emozioni e riflessioni, un processo che non è mai semplice, ma che sento come necessario.

Se questo articolo ti ha emozionato o se hai trovato un pezzo di te nelle mie parole, un piccolo contributo sarebbe per me un segno di riconoscimento per l’impegno che metto in ogni parola, in ogni pensiero condiviso.

Puoi farlo su Buy Me a Coffee o Tipeee, dove preferisci.

Il tuo supporto è un dono che mi permette di continuare a portare avanti questo percorso con amore.

Grazie di Cuore

Aggiungi commento

Commenti

Simone
8 mesi fa

Analisi e riflessioni ben spiegate. La lettura coinvolge pienamente e ti fa calare nella profondità del proprio sè. Stimola domande su stessi e sugli altri. Brava brava brava